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SANZIONI PER ECCESSO DI VELOCITA'

Le "multe" per eccesso di velocità sono tra le più frequenti e tra le più odiate, per gli strumenti con cui sono rilevate (i famigerati autovelox) e per i limiti di velocità spesso troppo ridotti ed inadeguati.

Le eccezioni da sollevare sono spesso molto tecniche e richiedono già una specifica competenza di base. Una loro lettura può essere, comunque, preliminarmente utile ad effettuare almeno una prima "autodiagnosi", per verificare se il proprio verbale presenti o meno profili di nullità.

In molti casi si tratta di multe infondate, contro cui è possibile difendersi. Nel contestare una multa per eccesso di velocità occorre in primo luogo verificare con quale strumento la velocità sia stata rilevata. Oggi è piuttosto raro il caso (frequente invece in passato), in cui la misurazione da parte dell'agente avvenga "a occhio", cioè senza l'ausilio di alcuno strumento elettronico.

 

In tali casi nel verbale non si troverà alcuna menzione riguardo l'autovelox o il telelaser (i nomi son vari) utilizzato. Ricorrere contro multe del genere è semplice. Senza bigogno di contestare la veridicità di quanto affermato nel verbale (che fa prova fino a querela di falso, in quanto proviene da un pubblico ufficiale), sarà sufficiente far rilevare la non accuratezza ed oggettiva attendibilità (in mancanza di strumenti idonei) della misurazione effettuata.

Molto più frequente è il caso in cui la presunta infrazione sia stata rilevata con l'ausilio di dispositivi atti a misurare la velocità di percorrenza delle automobili in transito. Ne esistono svariati modelli, tecnologicamente avanzati...ma non infallibili. O, per meglio dire, la loro non fallibilità dovrebbe risultare senza margini di incertezza già nel verbale di contestazione.

Invece, fortunatamente, non è così: gli autovelox spesso sbagliano o (ancora più spesso), gli organi amministrativi non ne fanno un corretto uso.

Per contestare una multa sollevata a seguito di infrazione rilevata con autovelox è importante prima di tutto esaminare la presenza di questo fondamentali elementi: modello e numero di matricola dell'autovelox utilizzato, decreto di omologazione, verifica del corretto funzionamento e dell'eventuale taratura. Il numero di matricola è quello attraverso cui sarà possibile individuare l'autovelox concretamente utilizzato e, quindi, ex post, verificarne il funzionamento.

Ne deriva che, ove il numero di matricola non sia indicato, qualsiasi indagine nel merito sarà preclusa fin dall'origine, con irrimediabile pregiudizio per la tutela del ricorrente. Se anche il verbale affermasse che l'autovelox era stato tarato e che se ne era verificato preventivamente il corretto funzionamento, tale affermazione resterebbe comunque priva del minimo significato, non potendo nè il ricorrente, nè il Giudice, operare alcun riscontro in merito.

Per quanto riguarda il decreto di omologazione, esso varia per ogni tipo di dispositivo ed è appunto il decreto con cui il Ministero delle Infrastrutture acconsente a che un determinato apparecchio sia utilizzando per la misurazione della velocità, indicando in modo specifico le modalità di utilizzo a cui le amministrazioni dovranno attenersi.

Si tratta di un dato da non sottovalutare. I decreti di omologazione stabiliscono in primo luogo se un determinato tipo di autovelox è utilizzabile in modalità automatica o, viceversa, se il suo uso è consentito solo quale strumento di ausilio per gli agenti preposti.

Esistono infatti modelli di autovelox, come il Velomatic 512 il cui decreto di omologazione nulla dice circa la possibilità di utilizzo in modalità automatica, ed altri modelli di cui, al contrario, i decreti prevedono espressamente l'utilizzo senza la presenza di agenti sul luogo del rilevamento (come il Traffiphot). Nei decreti di omologazione, la verifica di funzionamento è sempre prescritta per ciascun autovelox.

Così nei verbali, solitamente, è riportata, per inciso, l'affermazione della verifica preventivamente effettuata. Ma non basta, tale generica affermazione non è sufficiente. È, infatti, preciso diritto del contribuente avere contezza della verifica effettuata e del suo valore legale. Solitamente, le amministrazioni sollecitate a farlo, esibiscono certificati di funzionamento rilasciati dalle stesse ditte e società produttrici o distributrici dei dispositivi.

Tali certificati "autoprodotti" non hanno alcun valore legale. Viceversa, risulterebbe tradito quel principio d’indipendenza dei laboratori preposti alla verifica, sancito con D.M. del 10/12/2001 del Ministero Attività Produttive (Art. 2, verificazione periodica degli strumenti di misura), il quale prevede che i laboratori preposti alla verifica periodica debbano offrire garanzie d’indipendenza, non intrattenendo, quindi, rapporti commerciali, finanziari e societari con gli utenti metrici.

Un po' più complesso è il discorso relativo alla taratura. In materia la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, non ha seguito un orientamento consolidato. Si sono così susseguite sentenze nelle quali si è affermato tutto ed il contrario di tutto.

Per approfondire l'argomento consigliamo la lettura di almeno tre sentenze in materia: la sentenza del Tribunale di Lodi n. 363/2000, la prima ad essersi espressa in modo chiaro a favore della taratura, quella del Giudice di Pace di Rovigo che ha ripreso l'orientamento della precedente, ed in particolare la sentenza del Giudice di Pace di Moncalvo del 17 dicembre 2005.

Da quest'ultima scaturiscono, infatti, con estrema chiarezza, i seguenti principi:

la taratura deve ritenersi obbligatoria per preciso dettato legislativo, proveniente dalla Legge n. 273/1991;

nessuno strumento di misurazione può ritenersi attendibile se non preventivamente tarato con riferimento a campioni nazionali e nessuna approssimazione forfettaria applicata per difetto può sostituire la mancata taratura;

non può disporsi alcuna perizia tecnica nel corso del giudizio poichè essa non consentirebbe comunque di verificare quali fossero le condizioni di funzionamento dell'apparecchio all'epoca della rilevazione;

l'amministrazione opposta riveste il ruolo di attore sostanziale e, pertanto, su di essa grava l'onere della prova circa i fatti posti a fondamento dalla pretesa pecuniaria. Fonte:

Fonte Ricorsi.net 

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