Con la sentenza 10 giugno 2008,la Cassazione Penaleha confermato la condanna inflitta alle “Iene” dal G.I.P. (Giudice per le Indagini Preliminari) di Roma per il reato di cui all’art. 167 del Decreto Legislativo 196/2003 (legge sulla privacy), per avere, in qualità di ideatori di un servizio televisivo avente ad oggetto il consumo di stupefacenti, proceduto, senza il consenso degli interessati e l'autorizzazione del Garante, alla raccolta di dati personali sensibili (campioni organici di cinquanta Deputati e sedici Senatori) ed alla successiva analisi per accertare la eventuale traccia di sostanze stupefacenti).
Per l'annullamento della sentenza, gli imputati avevano proposto ricorso per Cassazione deducendo violazione di legge e sostenendo che i fatti loro addebitati non hanno rilevanza penale, sia perché la violazione di norme del codice deontologico dei giornalisti è sanzionata in via amministrativa, sia per la mancanza di uno degli elementi della fattispecie di reato (nocumento alle parti lese).
La Cassazione osserva che l'attuale normativa dedicata al trattamento dei dati sensibili esonera il giornalista, che persegue il fine della sua professione, dal consenso dell’interessato e dall’autorizzazione del Garante solo in presenza di precise e indefettibili condizioni: il giornalista deve rispettare i limiti del diritto di cronaca, in particolare, quello della essenzialità della informazione riguardo a fatti di interesse pubblico; inoltre, può trattare i dati personali relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dagli interessati o attraverso un loro comportamento pubblico.
Questa ultima condizione non è stata rispettata nel caso in esame nel quale i campioni biologici sono stati carpiti con un comportamento ingannevole e fraudolento. Consegue che gli imputati hanno disatteso una previsione contenuta non nel codice deontologico, ma nella normativa in materia di protezione dei dati personali.
Per quanto concerne il nocumento alle parti lese, le Iene avevano sostenuto che non vi era stato danno per alcuno, dal momento che i lori accertamenti non permettevano di associare l'esito del test a persone note e quindi il trattamento illecito dei dati senza il consenso dell'avente diritto era da considerarsi penalmente irrilevante.
Ma la Cassazione non ha ritenuto decisiva la circostanza: infatti, gli imputati avevano diffuso la notizia che alcuni Senatori e Deputati, pur rimasti anonimi, erano risultati positivi alle analisi per l’individuazione di sostanze stupefacenti; l'informazione evidenziava che taluno, entro una circoscritta e determinabile cerchia di persone, faceva indebito uso di droghe. In tale situazione, tutti i Parlamentari potevano essere indiscriminatamente sospettati di assumere stupefacenti, con la conseguenza che ogni membro del Senato o della Camera dei Deputati, nonché l’istituzione parlamentare, ha subito un nocumento alla sua immagine pubblica ed onorabilità.
16 giugno 2008