Ricordo una diatriba (sempre molto garbata, in verità) con un sacerdote, che è stato anche direttore del settimanale in cui scrivo, il quale, parlando di avvocati, mi ricordava che il Manzoni, nei Promessi Sposi, ne descriveva uno che non costituiva certo esempio da seguire. Potendomelo permettere (visto che lo conoscevo dai tempi del Liceo, quando era stato mio insegnante e quelli erano gli argomenti di lezione), risposi che, per la verità, il Manzoni descriveva anche un prete poco per la quale … Convenimmo alla fine che degli avvocati è più facile parlarne male che farne a meno!
In realtà, per secoli l’avvocatura italiana si era basata sui principi di correttezza deontologica e di indipendenza dai condizionamenti economici che avevano garantito, a volte più, a volte meno, ma comunque sempre in maniera sufficiente, il diritto alla difesa: l’avvocato, quale alter ego del cliente, ossia quale suo portavoce munito delle indispensabili cognizione tecnico-giuridiche (che il cliente non possiede), non poteva e non doveva avere interesse personale alla causa che stava trattando. Per questo l’incarico di difesa doveva essere conferito ad un avvocato e non a società di avvocati; per questo era vietato pattuire un compenso parametrato al raggiungimento degli obiettivi conseguiti (cosiddetto patto di quota-lite); per questo all’avvocato doveva essere garantito un minimo di compenso, stabilito con decreto ministeriale, che gli consentisse, comunque andasse a finire la causa, di essere dignitosamente retribuito per il lavoro svolto (obbligazione di mezzi e non di risultato).
Questi principi di deontologia forense, nati allo scopo di tutelare non solo la dignità e la moralità del professionista, ma anche (e soprattutto) l’interesse del cliente, risalgono addirittura al Corpus iuris civilis di Giustiniano (Codex, Lib. 2, Tit. IV, 5) e furono trasfusi nelle legislazioni europee, inclusa quella britannica, ma non in quella statutinense.
Ora le regole sono cambiate: con il “decreto Bersani” del 2006 i minimi di tariffa sono aboliti, è possibile stabilire un compenso legato al raggiungimento dell’obiettivo (ad esempio, la vittoria della causa), è possibile stabilire che all’avvocato vada una percentuale di quanto ricavato dall’affare trattato.
Senz’altro questo provvedimento potrebbe avere l’effetto di diminuire, in virtù della libera concorrenza, il costo delle spese per il ricorso alla giustizia; bisognerà vedere come si evolverà il “mercato”, dove, ormai, anche gli avvocati sono entrati a tutti gli effetti. Tuttavia, di fronte a questi possibili effetti benefici, potrebbero verificarsi tutta una serie di altri possibili effetti negativi.
I clienti potrebbero vedersi decurtare le loro spettanze di una congrua fetta (quasi sempre la metà) da avvocati (o presunti tali) senza scrupoli; si pensi a quanto avviene, soprattutto nell’infortunistica stradale, negli Stati Uniti, dove il patto di quota-lite è sempre esistito e dove legali o “paralegali”, ad essi collegati, stazionano nei centri traumatologici in attesa di qualche bel ferito in un incidente stradale: avvocati di tale caratura non si farebbero scrupoli, pur di riscuotere subito la loro grassa parcella, di accettare transazioni vergognose, dando ad intendere ai malcapitati clienti chissà quali difficoltà.
Peraltro, la possibile diminuzione del contenzioso per mancanza di avvocati che rifiutano di introitare cause senza speranza di vittoria, ha come contraltare il notevole affievolirsi del diritto alla difesa, in quanto casi di modesta entità, non appetibili, neanche in percentuale, dal punto di vista economico, ma importantissimi nel vissuto quotidiano (si pensi alle liti condominiali o alle cosiddette “questioni di principio”), non troverebbero avvocati disposti ad assumersi gli oneri di intraprendere una causa senza la prospettiva di un guadagno che valga il lavoro di anni di contenzioso; e, se anche si riuscisse a trovare qualcuno disposto a difenderci, data la difficoltà di fare un preventivo di spesa attendibile (una causa si sa quando incomincia, ma non quando finisce), le richieste sarebbero talmente elevate da indurre alla rinuncia anche chi avrebbe forti probabilità di vittoria finale o talmente basse da indurre il professionista ad una difesa trascurata in una causa dove ha ben poco da guadagnare: quali garanzie potrebbe fornire al cliente l’avvocato che si accontenta di poche centinaia di euro per un separazione?
Ma la cosa sarebbe eclatante nel processo penale: l’esperienza statunitense dimostra che l’assenza di tariffe predeterminate induce i clienti a pagare cifre stratosferiche, anche vendendosi la casa, per pagare gli avvocati che hanno la possibilità di farli assolvere dalle imputazioni più gravi. I più poveri si accontentano degli avvocati d’ufficio. Risultato: i ricchi, con gli avvocati di grido, vengono assolti; i poveri (per lo più gente dei ghetti, neri o bianchi che siano) vanno in galera!
Il decreto Bersani, da un giorno all’altro, ha stravolto un modo di fare la professione che, non senza ragione, aveva resistito per millenni: per la nuova normativa ciò che conta davvero è che gli studi degli avvocati siano produttivi ed abbiano un'organizzazione aziendale. Che importa se un cliente che entra non è più un cittadino, che chiede all’avvocato di comprendere le sue ragioni e di tutelare i suoi diritti con competenza e professionalità, ma soltanto un nemico strappato all’avversario, cui far sottoscrivere in tutta fretta clausole capestro, per garantire onesto reddito mensile, magari da attirare con un magnifico spot pubblicitario, che rappresenta due ex coniugi (giovani, distinti ed abbronzati), felici per la bella separazione loro offerta: se tutto questo verrà fatto all'interno di una società di capitali, posseduta in maggioranza da un'azienda che, magari, organizza servizi matrimoniali per le seconde nozze o crociere per i single, gli avvocati diventeranno finalmente veri "prestatori di servizi legali", al passo con i tempi!
Forse questa difesa degli avvocati è un po’ di parte, ma è bene pensare all’avvocato non come ad uno che vuole spolparti dei tuoi averi, bensì come a colui che ti offre servizi, assistenza e consulenza con la massima professionalità, che attraverso il gratuito patrocinio sostiene e difende i cittadini meno abbienti. Se si pensa che un avvocato costi molto, è bene che si consideri che potrebbe costare molto di più non andarci.
Sarebbe ora che qualcuno, invece di pensare alle tariffe degli avvocati, cominci a pensare a ricostruire una giustizia degna di uno dei tre poteri costituzionali dello stato. Non necessariamente l’ultimo.
19 maggio 2008
Avv. Paolo Marcozzi
Presidente dell’Associazione Forense Jesina