Avevamo già avuto modo di occuparci dello stalking prima che il Decreto Legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito nella legge 23 aprile 2009, n. 38 (in un prossimo articolo ci occuperemo della differenza fra legge e decreto) introducesse nel codice penale l'articolo 612-bis, dal titolo "Atti persecutori". Questo, al comma 1, recita: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.»
Letteralmente, il termine stalking significa “fare la posta”, come i cacciatori fanno con gli animali selvatici. Trasportato nel mondo del diritto, il termine assume il significato di molestia assillante a danno di una vittima, che può essere, indifferentemente, uomo o donna: il fenomeno iniziò un ventina di anni fa con molestie a danno di persone famose, soprattutto nel mondo dello spettacolo, ma ora ha assunto rilevanza sociale preoccupante, tanto che anche in Italia, con netto ritardo rispetto ad altri paesi all’avanguardia, si è giunti ad una regolamentazione (prima le condotte di stalking vengono regolate facendo ricorso all’art. 660 del codice penale, che prevede il reato di “Molestia o disturbo alle persone”). Il nuovo reato è stato inserito nel capo III del titolo XII, parte II del codice penale, nella sezione relativa ai delitti contro la libertà morale. La fattispecie mira senza dubbio a tutelare la libertà morale, come facoltà del soggetto di autodeterminarsi. Infatti, tra i vari eventi che la condotta tipica può causare vi è l’alterazione delle proprie abitudini di vita, la quale può essere vista come una particolare ipotesi di violenza privata.
La condotta tipica è costituita dalla reiterazione di minacce o di molestie e la peculiarità della ripetizione di dette condotte porta ad affermare che si tratti di reato abituale: i comportamenti di minacce e di molestie devono poi determinare nella persona offesa un “perdurante e grave stato di ansia o di paura”, ovvero un fondato timore per la propria incolumità o per quella di persone a lei vicine, oppure costringerla ad alterare le proprie abitudini di vita. Il Giudice può anche ordinare allo (o alla) stalker di tenersi a una certa distanza dalla sua presunta vittima; se non lo fa rischia l’arresto e comunque il suo comportamento diventa un aggravante.
Tuttavia, siccome non esiste una distanza ideale per tutte le vittime, si va a discrezione del giudice e si seguono le indicazioni della (o del) perseguitato di turno. Così, lui è un suo vicino di casa e l’aspetta per importunarla sotto il portone? Si può ordinargli di tenersi lontano anche soltanto da quell’ingresso. Lei lo infastidisce fra la palestra e l’ufficio dello stesso quartiere? Il giudice può intimarle di non avvicinarsi a quell’isolato. Oppure può stabilire semplicemente che fra chi perseguita e chi è perseguitato non ci sia mai meno di un certo numero di metri.
A questo punto, però, la faccenda si complica, perché ben difficilmente si potranno verificare le distanze effettive. Ad esempio, recentemente, il pubblico ministero ha presentato al giudice delle indagini preliminari una richiesta che vieti all’ex fidanzato di avvicinarsi alla ex fidanzata a meno di 45 metri! Questo è accaduto a Savona. Ma, a Pontedera, la distanza fra due ex coniugi è diventata di 100 metri, ad Avellino è cresciuta a 200 metrie a Treviso siamo arrivati a 500 metri (in questo caso, la vittima deve avere la vista buona)! Sinceramente la cosa fa sorridere e assomiglia a quella che noi di una certa età, una volta, chiamavamo un’”americanata”.
13 maggio 2009